Il cuore è al centro del sistema circolatorio, costituito da una rete di vasi sanguigni che trasporta il sangue da e verso tutte le aree del corpo umano e, con esso, l’ossigeno e le sostanze nutritive di cui gli organi hanno bisogno per funzionare correttamente. Nonostante i progressi della medicina, un cuore e un sistema cardiovascolare malfunzionanti, come si può facilmente intuire, possono quindi compromettere la salute del corpo, causando esiti anche gravi.
Parliamo di una serie ampia e variegata di patologie, in cui rientrano, tra le altre, le aritmie e l’insufficienza cardiaca.
Alla base di gran parte delle malattie del cuore e dei vasi sanguigni ci sono anche cause e fattori di rischio modificabili, cioè sui quali è possibile intervenire. Uno dei più noti è rappresentato dal diabete mellito (che include il diabete di tipo 1 e di tipo 2). Quello che molti non sanno, però, è che il rischio cardiovascolare aumenta già in presenza del cosiddetto prediabete, condizione caratterizzata da una iperglicemia moderata o intermedia, cioè caratterizzata da livelli di zuccheri nel sangue più alti del normale ma che non raggiungono i valori-soglia per il diabete conclamato.
Non parliamo di una condizione rara: secondo le stime, entro il 2030 più di 470 milioni di persone nel mondo avranno il prediabete. Intervenire per tempo diventa quindi doppiamente importante per la salute del cuore, anche perché, fortunatamente, la progressione verso il diabete è evitabile e, anzi, i valori della glicemia possono tornare nella norma. Con i dovuti accorgimenti, il prediabete è infatti reversibile.
Prediabete: cos’è
Come anticipato il prediabete, chiamato anche iperglicemia intermedia o iperglicemia non diabetica, è uno stato metabolico caratterizzato da un alterato metabolismo degli zuccheri, per cui si registrano valori di glucosio nel sangue (glicemia) superiori al normale, ma inferiori alle soglie per il diabete di tipo 2.
Normalmente, il glucosio che introduciamo con l’alimentazione entra nel flusso sanguigno, quindi penetra nelle cellule, dove viene usato per produrre energia. L’ingresso nelle cellule è consentito dall’azione di un ormone, l’insulina, prodotto dal pancreas in funzione dei livelli di glicemia: appena l’ormone fa il suo lavoro e i valori di glucosio nel sangue si abbassano, la produzione di insulina viene rallentata. Negli individui con prediabete (o diabete) questo processo non funziona correttamente, perché il pancreas non produce abbastanza insulina e/o perché le cellule diventano resistenti all’azione dell’ormone (insulino-resistenza) e quindi non lasciano entrare il glucosio, che finisce per accumularsi nel sangue.
Il perché questo avvenga non è ben chiaro, anche se storia familiare e genetica sembrano giocare un ruolo non secondario. Sono però noti anche una serie di fattori che possono favorire lo sviluppo del prediabete prima e del diabete poi, tra cui:
- sovrappeso o obesità, in particolare con accumulo di tessuto adiposo sul girovita (che favorisce l’insulino-resistenza)
- storia familiare di diabete mellito (genitore o fratello)
- storia di diabete gestazionale (ovvero sviluppato durante la gravidanza)
- sindrome dell’ovaio policistico
- pressione alta
- sedentarietà
- età, in quanto il rischio aumenta dopo i 35 anni (a causa dell’aumento dell’obesità infantile, però, sono sempre di più anche i bambini e gli adolescenti a rischio)
- fumo di tabacco
- dieta ricca di carne rossa e lavorata e bevande zuccherate
- dislipidemia (in particolare alti livelli di trigliceridi e bassi livelli di colesterolo HDL, quello “buono”).
Il prediabete generalmente non dà sintomi, anche se a volte la pelle può diventare scura in alcuni punti del corpo (come sotto le ascelle e dietro e ai lati del collo) e nelle stesse aree possono comparire piccole escrescenze cutanee.
Per l’accertamento è sufficiente sottoporsi a semplici esami del sangue. Secondo le linee guida dell’American Diabetes Association, per poter parlare di prediabete deve essere riscontrata almeno una delle seguenti condizioni:
- alterata glicemia a digiuno, misurata dopo almeno otto ore trascorse senza mangiare (per esempio dopo un’intera notte di digiuno, prima della colazione), con valori glicemici compresi tra 100 e 125 mg/dl);
- alterata tolleranza al glucosio, con valori di glicemia compresi tra 140 a 199 mg/dl dopo due ore dall’assunzione di una soluzione di acqua e 75 g di glucosio (la cosiddetta curva glicemica)
- valori di emoglobina glicata (parametro ematico che misura il livello medio di glucosio nel sangue negli ultimi 2 o 3 mesi) compresi tra 5,7 e 6,4%.
Quando preoccuparsi e sottoporsi a screening? Le linee guida già citate suggeriscono di sottoporre a screening tutte le persone a partire dai 35 anni di età, cominciando prima, però, in presenza di sovrappeso, obesità o altri fattori di rischio. Se i risultati sono normali, i test vanno ripetuti a intervalli minimi di 3 anni, più ravvicinati in presenza di sintomi o in caso di variazione del rischio (per esempio se un soggetto magro diventa sovrappeso).
Prediabete e rischi cardiovascolari
Avere il prediabete cosa significa per la salute del cuore e del sistema circolatorio? Innanzitutto, come lascia intuire il significato letterale del termine (“che viene prima del diabete”), avere il prediabete vuol dire essere a rischio di sviluppare il diabete di tipo 2, che, come è noto, nel lungo termine può determinare complicanze cardiovascolari.
Nel prediabete si verifica il primo di una serie di eventi a cascata sul piano metabolico: l’iperglicemia determina la produzione e il rilascio di insulina da parte delle cellule del pancreas. Nel tempo un’eccessiva esposizione all’insulina favorisce lo sviluppo di una resistenza nei suoi confronti, cioè diminuisce la risposta dei recettori ormonali presenti sulle cellule, che hanno la funzione di aprire i canali che portano gli zuccheri al loro interno. Lo zucchero si accumula quindi ulteriormente nel sangue, favorendo l’instaurarsi di un circolo vizioso che gradualmente può portare non solo allo sviluppo del diabete di tipo 2, ma anche della cosiddetta sindrome metabolica (detta anche sindrome da insulino-resistenza), condizione caratterizzata dalla combinazione di almeno tre fattori tra cui iperglicemia, trigliceridi alti, pressione arteriosa elevata, eccesso adiposo sul girovita e colesterolo Hdl basso. E, se non si interviene, possono verificarsi eventi avversi a carico dei vasi sanguigni, grandi e piccoli. L’iperglicemia, infatti, contribuisce a danneggiare l’endotelio, cioè il tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni e del cuore.
Non solo: le persone con prediabete hanno spesso altri fattori di rischio cardiovascolare, tra cui ipertensione e dislipidemia, cosa che comporta frequentemente anche la coesistenza con la succitata sindrome metabolica che, a sua volta, aumenta ulteriormente le probabilità di sviluppare diabete e malattie cardiovascolari. Tutto ciò apre la strada, in particolare, all’aterosclerosi (l’irrigidimento e restringimento delle arterie con formazione di placche e depositi di grasso) e alle complicanze da essa derivanti.
Cosa fare in caso di prediabete
Alla luce di quanto descritto finora, non trascurare l’iperglicemia non diabetica è doppiamente importante, per cercare in primo luogo di prevenire la sua trasformazione in diabete di tipo 2 e per riportare i livelli di zuccheri nel sangue alla normalità (il prediabete è infatti reversibile), contribuendo così alla prevenzione delle malattie cardiovascolari.
In caso di prediabete, cosa fare dunque? La strategia per farlo regredire prevede principalmente la correzione dello stile di vita.
In particolare si raccomanda di intervenire innanzitutto sulle abitudini alimentari: secondo gli studi, diversi modelli alimentari sono potenzialmente appropriati in chi ha il prediabete, come quello mediterraneo, quello vegetariano, la dieta a ridotto contenuto di carboidrati e gli approcci dietetici contro la pressione alta. Per sapere nel dettaglio cosa mangiare e cosa non mangiare è bene ricevere dal medico o dal nutrizionista un piano alimentare individualizzato (che tenga anche conto degli obiettivi metabolici e delle preferenze personali), a ridotto contenuto calorico e che prediliga cibi a basso contenuto di grassi e carboidrati, ricchi di fibre, come frutta, verdura (soprattutto non amidacea), noci, cereali integrali, legumi e olio d’oliva, riducendo al minimo zuccheri aggiunti, cibi raffinati e altamente trasformati, alcol (vino, superalcolici ecc), e sodio.
Bando poi alla sedentarietà, che favorisce il sovrappeso: le linee guida suggeriscono di praticare attività aerobica di intensità da moderata a vigorosa, come la camminata veloce, per almeno 150 minuti a settimana o, in alternativa, almeno 75 minuti di attività aerobica vigorosa. Raccomandazioni e precauzioni specifiche sul tipo di ginnastica da preferire dipendono dall’età, dalla presenza di patologie e problematiche, dalle caratteristiche e dalle esigenze specifiche del singolo (per esempio esercizi di potenza come la pesistica e il body building sono solitamente sconsigliati in caso di rischio ipertensivo o di pressione alta già riscontrata perché possono aumentarla ulteriormente).
Chi fuma dovrebbe smettere (il fumo favorisce l’insulino-resistenza, l’ipertensione, l’aterosclerosi) e chi è in sovrappeso dovrebbe perdere dal 5% al 7% del proprio peso corporeo.
In considerazione dell’aumentato rischio per il cuore e i vasi sanguigni, è generalmente opportuno anche monitorare e trattare i fattori di rischio cardiovascolare modificabili, come pressione arteriosa e livelli di colesterolo. A tal scopo il medico potrebbe anche raccomandare specifici esami per valutare la salute del cuore e dei vasi sanguigni, come, ad esempio, un elettrocardiogramma a riposo e/o sotto sforzo (per valutare l’attività elettrica cardiaca, la frequenza e il ritmo delle pulsazioni) o un ecocardiogramma (per avere immagini dettagliate, spesso anche in 3D, delle dimensioni del cuore e del movimento cardiaci, che possono svelare, per esempio un cuore ingrossato o altri segnali di sofferenza).
Se necessario, infine, il medico può prescrivere anche una terapia mirata, per esempio un trattamento con farmaci per abbassare la pressione arteriosa, il colesterolo cattivo e/o la glicemia. Anche per l’eventuale ricorso a integratori alimentari è bene affidarsi al consiglio medico.
Fonti
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